Le Malentendu (Il Malinteso)

opera da camera tratta da Le Malentendu di Albert Camus
(copyright Editions Gallimard 1958)
Libretto in lingua originale a cura del compositore

Interpreti: Sofia Soloviy, Davinia Rodriguez, soprani;
Elena Zilio, mezzosoprano; Mark Milhofer, tenore
Quartetto Bernini; R.Petrocchi, clarinetti; D. Flammini, fisarmonica
Direttore Guillaume Tourniaire Regia Saverio Marconi
Sferisterio Opera Festival 2009
Macerata, Cineteatro Italia,
Prima rappresentazione assoluta: 26 luglio 2009
Replica: 29 luglio 2009



Argomento

Un albergo anonimo in una piccola città della Boemia. Le proprietarie - la Madre e sua figlia Marta, che gestiscono la locanda con l’aiuto di un Vecchio domestico - commentano l’arrivo di un nuovo cliente, che sembra loro adatto a diventare l’ultima vittima di un lungo elenco di uomini uccisi e depredati: uomini soli, ricchi e sconosciuti, che vengono narcotizzati e gettati in una chiusa, dove affogano, riemergendo dopo molto tempo, sfigurati dalla putrefazione. Omicidio dopo omicidio, le due donne stanno accumulando il denaro utile per realizzare il sogno di ritirarsi a vivere in un altro paese, dove il sole e il mare possano cancellare ogni traccia del passato. In realtà, il nuovo avventore non è altri che Jan, il figlio e fratello andato via da più di vent’anni e ora tornato, ricco, per renderle felici: egli vuole essere riconosciuto senza però dichiararsi apertamente. Con lui c'è la giovane moglie Maria, insieme alla quale Jan ha costruito la sua felicità in un paese lontano dall’Europa: Maria, che ha un oscuro presentimento, incita Jan a farsi riconoscere senza troppi indugi. Ma Jan, infervorato nella sua missione familiare, insiste nel voler mantenere l’incognito e nel rimanere solo: perciò convince Maria a lasciarlo.
L’incontro con Marta e la Madre non ha gli esiti sperati da Jan: non solo nessuna delle due donne lo riconosce, ma Marta ostenta una freddezza e un distacco che frustrano ogni suo tentativo per stabilire una comunicazione confidenziale. Jan si ritira nella sua stanza, e la Madre, rimasta sola, si abbandona alla sua cupa disperazione e a quella stanchezza di vivere che ormai non l’abbandona più. Ma Marta, sopraggiungendo, la incalza e la sprona a compiere insieme a lei quello che potrebbe essere l’ultimo delitto prima del meritato riposo.
Nel chiuso della sua stanza Jan sente crescere l’angoscia che un tempo lo spinse a fuggire da quei luoghi: è il vuoto di una invincibile solitudine. Marta sale e porta il tè che contiene il sonnifero. Jan, che pure non lo aveva ordinato, non sospetta nulla e, rimasto nuovamente solo, lo beve. Dopo un ultimo, vano, colloquio con la Madre, salita a ritirare il vassoio del tè, Jan si assopisce in preda al narcotico, ripromettendosi di tornare l’indomani con la moglie e di svelare la propria identità. Nel buio, Marta, la Madre e il Vecchio domestico spogliano Jan dei suoi averi e dei suoi documenti, restando in attesa del rumore delle acque che salgono nella chiusa e che accompagneranno il corpo di Jan verso la morte.
Il mattino seguente, mentre Marta manifesta alla Madre la sua fiducia nella nuova vita che le aspetta, il Vecchio domestico le consegna il passaporto di Jan, che nella notte aveva messo da parte. Dopo averlo esaminato, Marta lo passa alla Madre senza un commento: dopo averlo guardato a sua volta a lungo, la Madre si alza e si avvia alla porta, decisa a seguire il figlio nelle acque della chiusa. A nulla vale l’opposizione violenta di Marta, che si sente tradita e che ricorda alla Madre come lei, al contrario di Jan, le abbia sacrificato tutta la sua vita. Rimasta sola, Marta urla la sua rabbia contro il fratello e contro un mondo che le ha regalato solo solitudine e privazioni. Alla ricerca del marito, giunge Maria che, prima incredula, poi disperata, chiede conto a Marta del loro folle gesto: “un malinteso” - è la sua gelida risposta – “un malinteso che ha riportato le cose nel loro giusto ordine, quello per cui nessuno è riconosciuto”. Ora anche per Marta non resta che la morte, ma non insieme alla Madre e a Jan: da sola, nel chiuso della sua stanza. E sola resta anche Maria, ad invocare inutilmente un Dio che non ascolta.


SYNOPSIS

In a small and modest inn of a little town in Bohemia, the two owners - a mother and her daughter Martha, who run the place with the support of an old servant - are making comments on the arrival of a new guest, who seems to be fit to become, the latest in a series of men who have been recently killed and robbed. Rich, lonely and unknown men, drugged and then thrown into a lock. Men who drowned and then resurfaced after a long time, disfigured and putrefied. By killing all these men, the two women are gathering the money they need to make their dream come true: moving to a country where the sun and sea will erase every trace of their past. However, the latecomer is their son and brother Jan, who had left twenty years earlier and has now come back, with money, to make them happy. Jan wishes to be recognized by the two women without telling them who he is. His young wife Maria is on his side; the two have built their own happiness in a country far beyond Europe. Maria has a sense of foreboding and urges Jan to unveil his identity. Instead Jan, all absorbed by his family mission, decides not to announce himself and wants to he left alone. Maria is thus persuaded to leave. Meeting Martha and his mother does not give the expected results: none of them realizes who Jan truly is and Martha appears so cold and wary of hire that Jan feels frustrated in his hopes to establish any sort of friendly contact with her. Jan goes back into his room and once his mother is alone, she lets all her desperation and life weariness burst out. Martha soon reaches her mother, she rouses her and exhorts her to commit one last crime before they can have some rest.
Alone in his room, Jan feels the anxiety which had once led him to flee that town, the emptiness of an immense solitude. Martha goes up his room and brings him the drugged tea. Although he had not asked for it, Jan does not feel suspicious and, once alone, he drinks it up. After the last, hopeless conversation with his mother, who had gone into his room to collect the tea tray, Jan falls helplessly asleep, while thinking that he should come back the next day with his wife and announce himself. In the dark, Martha, her mother and the old servant strip Jan of all his belongings. 'I'hcn, they wait for the noise of the water from the lock which is to accompany Jan's body to his death.
The next morning, as Martha joyfully tells his mother of the new life ahead of them, the old servant appears and gives Jan’s passport to her, which he had found the night before. Martha examines it and then hands it onto her mother, without saying a word. After looking at it for a long time, the mother stands up and heads for the door, determined to follow her son into the lock. Martha tries in vain to stop her, feeling that she is being ignored and reminding her mother of the life that she, and not Jan, has given to her. Once alone, Martha conveys all the rage against her brother and a world which has only given her loneliness and deprivation. Maria, who has been looking for her husband, appears first to be surprised and then utterly shocked. She asks Martha the reasons for their crime and the latter replies coldly "a misunderstanding, which has brought all things back to their order. for which no one person ever knows another-". Death also awaits Martha, but not. with her mother and brother: she is to die alone in her room. Maria is equally left alone, as she cries hopelessly to a God who does not listen.


(Foto della scena di Gabriele Moreschi)

Un’opera per il teatro
di Matteo D’Amico

Le Malentendu (Il malinteso), esordio teatrale di Albert Camus, è andato in scena per la prima volta al Théâtre des Mathurins di Parigi nel giugno 1944. Camus si è rifatto all’essenzialità strutturale della tragedia greca: quattro personaggi in tutto - più una figura muta cui è riservata solo la battuta finale - chiusi nello spazio angusto di un unico luogo: il soggiorno e la camera di una locanda, in una piccola città della Boemia, nell’arco breve di poco più d’una giornata.
Questa la storia. Un albergo anonimo in un angolo imprecisato e tetro dell'Europa centrale: le proprietarie, la Madre e sua figlia Marta sopravvivono uccidendo di tanto in tanto qualche raro cliente ricco, per depredarlo. Il candidato ideale deve essere un uomo solo, uno straniero del tutto sconosciuto e di passaggio, che possa sparire senza lasciare traccia. E' una morte dolce, il benvenuto delle albergatrici: il cliente viene narcotizzato e gettato in una chiusa, dove affogherà, riemergendo chissà quando, insieme ad altri cadaveri sfigurati dalla putrefazione. Omicidio dopo omicidio, le due donne stanno accumulando il denaro utile per realizzare il sogno di ritirarsi a vivere in un paese tropicale, dove il sole cancellerà ogni traccia del passato. All'origine della catena luttuosa c'è forse un Padre, ma questi è morto chi sa quando, né più interessa il come o il perché. L'ultimo predestinato, Jan, è il figlio e fratello dimenticato, tornato ricco dopo vent'anni, per renderle felici. Con lui c'è la moglie Maria, che è amore, è vita, è felicità. Jan è infervorato nella sua missione familiare, vuole presentarsi da solo, essere riconosciuto e accolto a braccia aperte. Maria si piega angosciata al suo slancio generoso, il cuore la avverte della tragedia. C'è infine un Vecchio domestico, che tace sempre e conosce la verità, sa chi è Jan ma lo rivela alle donne solo a fatto compiuto, con indifferente perfidia.

Appare subito chiaro il legame strettissimo di una simile vicenda col tema scelto da Pier Luigi Pizzi per caratterizzare l’edizione 2009 del Festival Sferisterio Opera di Macerata, Cosa, infatti, se non un terribile, vicendevole inganno spinge i tre protagonisti della moderna ‘tragedia greca’ di Camus verso un comune destino di morte? Già da diversi anni ero andato concentrando sempre più la mia attenzione sul teatro drammatico e sulla possibilità di attingere al suo repertorio per la ricerca di nuovi soggetti da trasformare in opere. E proprio ad una recente esperienza nel teatro di prosa si deve il mio incontro con Il Malinteso di Albert Camus, avendo composto le musiche per la produzione diretta da Pietro Carriglio e andata in scena la scorsa stagione in diversi teatri nazionali. Alcuni elementi dell’impostazione che ho dato alla mia versione operistica del testo di Camus discendono da quella esperienza, a cominciare dal ruolo della fisarmonica, protagonista assoluta nelle musiche di scena, e divenuta elemento portante dell’organico cameristico dell’opera. Molto diversa, e naturalmente più complessa, la sostanza della trama musicale di quest’ultima, che però si è valsa dell’approfondito lavoro di scavo sui personaggi e sulle loro geometriche relazioni, così come si è sviluppato nel corso delle prove della produzione teatrale.

Per spiegare il tipo di lavoro che mi ha guidato nella stesura della musica per Le Malentendu, vorrei partire da un’osservazione di carattere generale che riguarda la mia generazione di compositori, che ha potuto godere - al contrario forse di quella che ci ha preceduto, quella, per intenderci, dei cosiddetti Maestri dell’avanguardia postbellica - di un approccio più sereno, ‘in presa diretta’, con l’universo ‘opera’, grazie anche al mutato clima generale, dove l’esigenza di accostare la musica alle altre arti della parola e della scena è tornata a farsi sentire in modo prepotente, magari anche a costo di rinunciare a qualcosa dal punto di vista della più pura speculazione musicale.
Da questo approccio e da questo clima è partita la mia personale ‘voglia di opera’, da intendersi più come ennesimo tentativo di esplorare la capacità che questa forma ha di comunicare emozioni attraverso la musica e il teatro, o meglio attraverso la musica che si fa teatro, o, ancora meglio, attraverso il canto che si fa teatro, cioè personaggio vivo e compiuto, del tutto giustificato nel suo esistere attraverso il canto. Potrebbe sembrare ovvia questa considerazione, ma in realtà proprio recuperare il ruolo-guida del canto nell’opera è una delle sfide che oggi si trova davanti chi affronta questa forma da compositore, troppo spesso distratto dall’attenzione che, quasi obbligatoriamente, la parte scenica e teatrale chiama per sé, e dal tributo che altrettanto inevitabilmente si deve pagare alla forbitezza della scrittura strumentale. E’ chiaro che quando parlo del canto come elemento guida immagino che questa funzione si espliciti concretamente in un inscindibile rapporto dialettico con le altre componenti (la scrittura strumentale, appunto, e la scrittura verbale del libretto): anzi è proprio l’esplorazione di nuovi equilibri e nuove soluzioni all’interno di questi rapporti che costituisce uno dei terreni più fertili per il compositore d’opera.
Nel caso del Malentendu, il rapporto è con un testo, in lingua francese, di altissima qualità letteraria, oltre che di grande efficacia teatrale: la scelta è stata quella di mantenerne intatta la struttura, alleggerendone solo il peso complessivo, per ovvie ragioni di durata e di tempi specificamente musicali. L’intimità e l’interiorità della vicenda, che si consuma tutta in poche ore tra le mura disadorne di un piccolo albergo di una sperduta provincia europea, hanno chiamato con sé un organico quanto mai ristretto e, per così dire, in ‘bianco e nero’: cinque archi, una fisarmonica e un clarinetto. Quello che creano è come un velo di ghiaccio sopra il quale scorre il canto, un canto che quasi sempre è autentico ‘messaggero’ della parola. Ho sentito qui il bisogno di lasciar fluire nel modo più piano possibile le cristalline battute dei personaggi di Camus, battute lucide, taglienti, asciutte, che sembrano però non permettere ad essi di comunicare veramente. I momenti di accensione lirica, che di continuo si fanno largo, sono come brevi esplosioni, tensioni estreme per riuscire almeno a dire ciò che non si riesce a comunicare.


(Mark Milhofer, Elena Zilio, Sofia Soloviy)


LE MALENTENDU – Rassegna stampa - Press Releases

“…Nello spazio asfittico e pertinente del Cineteatro Italia, intensa l’interpretazione di Elena Zilio (La Mère), Sofia Solovij (Martha), Mark Milhofer (Jan) e Davinia Rodriguez (Maria) con l’attore Marco Iacomelli (le Vieux Domestique). Regia di Saverio Marconi. Sette gli strumentisti diretti da un eccezionale Guillaume Tourniaire…. Tragedia dell’incomunicabilità che D’Amico distilla nelle avvelenate, suadenti note di un’ansia senza angoscia, di un crimine senza rovello o negazione. Impossibile da dimenticare. Bellissimo.”

“…In the close, narrow space of the Cinetatro Italia, Elena Zilio (La Mère), Sofia Solovij (Martha), Mark Milhofer (Jan), Davinia Rodriguez (Maria) and Marco Iacomelli (the Vieux Domestique), all give an intense interpretation of Le Malentendu, a chamber work by Matteo D’Amico, based on text by Albert Camus. Saverio Marconi directs. Guillaume Tourniaire leads the seven instrumentalists with great ability…. The piece is about an inexplicable tragedy that D’Amico distills into poisoned, sweating notes; angst without anxiety, a crime committed without nagging thoughts of guilt or negation. Unforgettable. Absolutely beautiful.”

Elena Formica, La Gazzetta di Parma


“… Matteo D’Amico, che quest’anno firma la sua seconda novità assoluta, sceglie di lui il nero e tragico Malentendu, lo mette in musica e lo affida a un gruppetto di cantanti-attori per nulla imbarazzati di declamare note in cima al pentagramma in una conversazione fra espressionismo ed esistenzialismo, nella regia spoglia e perentoria di Saverio Marconi, ottenendo vivo successo al Festival di Macerata. Eccellente strumentazione, esecutori notevoli, da applaudire Elena Zilio, da anni ammirata con affetto…”

“ Matteo D‘Amico presents his second world premier choosing Camus’ black tragedy Malentendu setting it to music and entrusting it to a group of actor / singers who are not shy about declaiming the words at the upper end of the vocal range in a conversation someplace between expressionism and existentialism. A strong hand is supplied by the direction of Saverio Marconi. The piece was well received at the Festival of Macerata. The instrumental writing is excellent, and special applause goes to Elena Zilio, whose work has been admired for years…”

Lorenzo Arruga, Panorama


“… Un testo che ricorre all’essenzialità della tragedia greca, con soli quattro personaggi chiusi nella misera locanda d’una piccola città boema…. Si va oltre il giallo o il fatto di cronaca nera per adombrare le angosce e i problemi del nostro tempo e di sempre: l’incomunicabilità, l’assenza totale del sentimento, la voracità senza limiti…. Musica e testo si sovrappongono e si integrano, affidati a un ensemble diretto magistralmente da Guillaume Tourniaire e ai quattro cantanti… Impeccabile la regia di Saverio Marconi…”

“…D’Amico uses the original text as Camus wrote it, changing it very little. Camus’ text embodies the essence of Greek tragedy with only four characters set in a miserable inn in a small Bohemian city. It goes well beyond the simple mystery or a dark police-blotter type of recounting and zeros in on the dark angst of our time: lack of communication, the total lack of sentiment and a sort of voracious hunger that goes beyond normal limits… Music and text intertwine. The music is entrusted to musical director by Guillaume Tourniaire and four singers. The direction by Saverio Marconi is impeccable.”

Virginio Celletti, L’Avvenire


(Elena Zilio, La Mère)

“…Très éclectique dans ses choix et dans ses productions, le compositeur Matteo D’Amico s’est intéressé plusieurs fois à l’héritage littéraire français. Son écriture musicale est particulièrement bien adaptée à la langue française, au sujet, aux situations et aux personnages…. L’ensemble se révèle rapidement original, solide et bien structuré, tant du point de vue vocal qu’orchestral. Le petit ensemble instrumental, mené d’une poigne sûre par Guillaume Tourniaire, est tout à fait excellent.… Une intéressante exécution de cette première mondiale, pour une belle œuvre qui devrait être promise à un brillant avenir, et que l’on espère voir bientôt à Paris.”

“…Molto eclettico nelle sue scelte e nelle sue realizzazioni, Matteo D’Amico si è interessato molte volte al patrimonio letterario francese. La sua scrittura musicale si è particolarmente ben adattata alla lingua francese, al soggetto, alle situazioni e ai personaggi…. Il tutto si rivela presto originale, solido e ben strutturato, tanto dal punto di vista vocale che strumentale. Il piccolo ensemble, guidato con mano sicura da Guillaume Tourniaire, è assolutamente eccellente… Una interessante esecuzione di questa prima mondiale, per un bel lavoro che dovrebbe avere per sé un avvenire brillante, e che si spera possa essere presto visto a Parigi.”

“…Composer Matteo D’Amico is very eclectic in his choice of material and production techniques, in his interest in French literary heritage. His musical adaptation is particularly suited to the cadences of the French language, to the subject matter and to the characters…. The work is original and solidly structured from both a vocal and instrumental point of view. The small orchestra, directed by Guillaume Tourniaire is wonderful.… A well-executed World Premier of a work that should have a bright future, a work that one hopes will soon be seen in Paris.”

Jean-Marcel Humbert, Forumopera


“…La scelta di D'Amico è rigorosa e coerentemente portata avanti per un'ora e mezza di musica: declamato, ora lirico ora drammatico, per le voci, a conferire una piena evidenza al testo, e il piccolo gruppo strumentale a tessere la rete sotterranea di relazioni espressive e drammaturgico-musicali, avendo pesato con grande calibro i personaggi timbrici e le figure musicali che utilizzano. La regia di Saverio Marconi ha reinventato a impianto centrale una sala da cinema, con notevoli intelligenza e uso delle luci… Ottimi gli interpreti, vocalmente preparatissimi, e franco l'apprezzamento del pubblico.”

“….D’Amico chooses his material well, embellishing it with an hour and a half of music: at times it is declamatory, at others lyrical or dramatic. The voices amplify the text and the small group of instrumentalists underscore the expression, both dramaturgical and musical, that is in evidence throughout. D’Amico has carefully weighted his timbres and musical figures… The direction by Saverio Marconi has used the theatre space (a movie house) to great effect… The vocal preparation of the singers is evident. The public enjoyed itself immensely.”

Alessandro Mastropietro, Il Giornale della musica

(Davinia Rodriguez, Maria)