Patto di sangue

commedia nera in due parti liberamente tratto dal Retablo de la avaricia , la lujuria y la muerte di Ramon del Valle-Inclàn Libretto di Sandro Cappelletto

Interpreti: Tania Bussi, Patrizia Orciani, Manuela Bisceglie, soprani; Gabriella Sborgi, mezzosoprano; Mirko Guadagnini, tenore; Roberto Abbondanza, baritono
Ensemble dell’Orchestra del Teatro del Maggio Musicale Fiorentino.
Direttore: Marcello Panni Regia: Daniele Abbado
Scene: Graziano Gregori Costumi: Carla Teti
Festival del Maggio Musicale Fiorentino 2009
Teatro Goldoni
Prima rappresentazione assoluta: 22 maggio 2009
Replica: 24 maggio 2009


SOGGETTO
Sandro Cappelletto

PARTE I - La rosa di carta
Spettrali luci del mattino, freddo, vento, pioggia. Nella sua povera casabottega Simeone, fabbro, corista, barbiere dei morti, mangiapreti, gran bevitore, sta lavorando. Il rumore dei suoi colpi è insopportabile per la moglie Floriana, in fin di vita: “Non ti ho mai visto lavorare così, sto morendo e questa è la tua benedizione”.
Poi, pensando al futuro dei loro tre bambini, lo richiama: lavorando come una dannata, ha messo da parte un gruzzolo di settemila reali, i risparmi di tutta una vita.
Simeone cambia atteggiamento: “Moglie meravigliosa, prodigio della vita mia, amore”. Lei lo supplica di non spenderli tutti all’osteria e di cercare un prete per il viatico della buona morte. A malincuore, sospettoso, Simeone obbedisce. Uscito il marito, l’Ammalata si trascina in soffitta e decide di nascondere lì il prezioso fagotto.
Entrano i tre figli di Floriana e Simeone: si avvicinano al letto, guardano muti la mamma, lei li benedice con lo sguardo, poi di corsa spariscono nella soffitta. Ecco anche la Musa e la Disa, comari pettegole e affettuose: sono le vicine di casa di Floriana, le sue uniche amiche. Preoccupate per le condizioni dell’amica, iniziano a intonare le loro speciali litanie. “Un gatto, un gatto nero, sopra il mio letto”, grida Floriana: è iniziato il delirio.
Simeone ritorna, ubriaco; non è contento di vedere le due vicine. Le sue urla sopraffanno le loro preghiere. Sospettoso, cerca il fagotto con i soldi, fruga nel letto, non lo trova, è convinto che le comari, approfittando del delirio della moglie, si siano impadronite del denaro: “Ladre, ma di qui non uscite vive. Ditemi dov’è!”. La lite fra i tre è furibonda, Simeone minaccia di tagliar loro la gola.
Poi, un grido: “El gato, el gato, el gato me mata!”. È l’ultimo sussulto di Floriana. Un breve compianto e poi Simeone, raddoppiando la sua rabbia di ubriaco, riprende a minacciare le donne: “Se avete un’anima, streghe, affidatela al vostro Dio, perché siete morte”. Invano Musa e Disa provano a farlo ragionare: lui è una furia.
Richiamati dal baccano, i bambini spauriti si affacciano dall’alto, invocano la mamma. Poi, rivelano il luogo dove è nascosto il fagotto e pongono così fine alla disputa. Si bussa alla porta: è Pepe, bottegaio e uomo pratico, amico del fabbro, richiamato da quelle urla. Musa e Disa lo informano di quanto è successo. Simeone trova finalmente quanto cercava e si abbandona a un appassionato elogio funebre della moglie.

[Figurino di Carla Teti]

Assieme a Pepe, esce con l’intenzione di preparare per lei funerali in pompa magna. Le comari, pietose e sempre pettegole, intonando il De profundis, vestono la morta con i suoi abiti migliori, la pettinano, la fanno bella.
Pepe rientra, incredulo: “Simeone vuole un funerale splendido, ha chiamato la banda, il coro, sfileranno le bandiere, spenderà una fortuna”.
Eccolo, il fabbro, più ubriaco e magniloquente che mai; con una corona di fiori appesa al collo, guarda estasiato la moglie: non è mai stata così bella e lui inizia a essere catturato da una macabra passione sensuale.
Anche i bambini vogliono partecipare al compianto; il maggiore dei tre porge una scarlatta rosa di carta al padre, che la depone tra le mani giunte di Floriana come fosse un rosario.
Poi, apre le braccia della moglie, vuole stringerla al petto, ma nel movimento inciampa, barcolla, fa cadere un cero. La fiamma comincia a bruciare il lenzuolo, prende nuova lena dalla paglia del materasso, dalla corona funebre, dalla rosa di carta che avvampa e crepita.
“Quando entrerai in Paradiso i santi faranno la coda per ballare con te.
Hai le carni di una Diana, mia madonna fiorentina”, farnetica il marito.
Nessuno riesce a fermare tanta passione, a porre fine al sacrilegio.
Le fiamme si alzano, avvolgono quella povera casa, mentre al colmo dell’eccitazione Simeone si getta nell’amplesso infernale. La sua voce emerge dal cerchio del fuoco: “Mio Angelo, ti chiedo l’amore”.

PARTE II - Patto di sangue
Chiaro di luna, una locanda di campagna. Una ragazza canta nella notte, un po’ strega e un po’ bambina, libera e inafferrabile. Ha chiara in mente una cosa: non si venderà mai per denaro, il suo corpo lo darà solo per amore. Così, non accetta una splendida collana che sua zia - detta la Volpe, donna pratica a cui non dispiace bere - le mostra. È il dono di un vecchio, che vorrebbe diventare il suo amante. La zia insiste: “Anche tua madre la accetterebbe”. “E che mi fa mia madre?”, risponde la ragazza furiosa. “Mi mette l’amante nel letto? Non voglio vecchi”.
Poi, minacciosa, afferra un paio di forbici.
L’ombra di un giovane arrotino si proietta sotto le stelle: si dichiara bravissimo nel proprio mestiere, si offre di affilare quelle forbici e in cambio vuole un bacio. Il fascino della ragazza lo ha già stregato.
All’interno della locanda, la madre e la zia della ragazza preparano da mangiare, bevono, parlano della buona e della cattiva sorte, e del Trasgo, un elfo, uno spirito che viene spesso a visitare la zia.
La ragazza e l’arrotino continuano il gioco di seduzione: “Fai il giro del mondo, torna da me e ti darò la risposta”, provoca lei... “Quanto pensi che mi occorrerà? Meno di un lampo”, risponde il ragazzo: gli basterà “stringere la coda di un amico”. La madre e la zia, ormai ubriache, continuano a fantasticare del Trasgo, di voli notturni, e lunari.
Madre e figlia faccia a faccia in un concitato duetto: “Guarda che collana: perle e coralli. Ascolta tua madre, diventerai ricca”.
Ma la ragazza è irremovibile: “Mi do a chi mi piace, per perdermi. Hai capito, madre? Per perdermi!”.
L’arrotino è tornato, chiede di vedere le gambe della ragazza. E rimane stupito quando lei gli dice che nel buio un cane lo ha morso, strappandogli la spalla dell’abito. Come fa a saperlo? C’è del sangue!
Interviene la madre, che richiama la figlia: “Vieni a casa, basta parlare.
Torna dentro, ma non mettere il catenaccio. Questa notte magari verrà qualcuno”.
Il breve interludio della “mortal lussuria” crea un’atmosfera misteriosa, di attesa. I personaggi, come automi, agiscono mossi da un destino che si sta per compiere. La ragazza scompare, riappare, di nuovo svanisce nell’ombra, eccitando sempre più l’arrotino.
“Qui ti ha morso il cane?! Scopri la spalla, mostrami il sangue... Voglio succhiarlo”.
Lui prova a resistere, dice di essere già impegnato, forse inizia a temerla, ma ne è troppo attratto. Con le forbici lei si taglia il palmo della mano e vuole che lui beva quel sangue: il patto è sancito.
Poi, lo invita in casa: “Vieni, entra e disfami il letto”. Un invito erotico o mortale?
Nell’oscurità della locanda, luccicano le forbici, alte nel braccio della ragazza, che colpisce. Un grido. Il tonfo di un corpo che cade in terra. Un silenzio teso. Un raggio di luna illumina il corpo esanime di un uomo, le forbici conficcate nel petto. Chi è mai? L’arrotino o il vecchio che voleva regalarle la collana in cambio del suo corpo?
Lei riprende la sua canzone, per ricordare che non è mai dove crediamo di vederla.

SYNOPSIS
Sandro Cappelletto

PART I - The Paper Rose

Spectral light in a cold, rainy and windy morning. In his modest house and workshop Simeone - smith, singer, barber for the dead, rabid anti-cleric, great drinker - is at work. The noise of his blows is too much for his wife Floriana who is dying. “I’ve never seen you work so much. I’m dying and this is your blessing”.
And then thinking about the future of her three children, she calls him back. Having worked like a condemned woman, she has saved up over her lifetime a sum of 7,000 Reali.
Simeone changes his attitude. “Marvellous wife. Wonder of my life, my love”. She begs him not to spend them all at the tavern, and also to go out and look for a priest for her last rites. Reluctantly, the suspicious Simeone obeys. Once he is out, the sick woman drags herself into the attic and hides the precious bag with the money.
Floriana and Simeone’s three children come in. They go to the bed and in silence look at their mother. She blesses them with a glance, and then they quickly disappear into the attic. Here come Musa and Disa, two gossipy, affectionate crones. They are neighbours and Floriana’s only real friends.
Worried about her condition, they intone special litanies. “A cat, a black cat is on my bed”, Floriana shouts. The delirium has begun.
Simeone returns drunk. He is not happy to see the neighbours. His shouts drown out their prayers. Suspicious he looks for the moneybag, rummaging about the bed. He does not find it, and is convinced that the women taking advantage of his wife’s delirium have gotten hold of the money.
“Thieves. You will not get out of here alive. Tell me where it is!” The fight among them is furious. Simeone threatens to cut their throats.
Then the cry: “The cat, the cat, the cat is killing me!” It is Floriana’s last tremor of life. A brief moment of grief, and then doubling his drunken anger, he begins threatening the women again. “If you have any soul, witches, confide it in your God, because you are dead”. Musa and Disa vainly try to bring him to reason, but he is all a fury.
Because of the ruckus, the frighten children look down from above. They call for their mother. And then they reveal where the money is hidden and put an end to the dispute.
Pepe, a shopkeeper and practical man, knocks on the door. He is a friend of Simeone, and has come because of the shouting. Musa and Disa tell him what has happened. Simeone having found what he was looking for, now surrenders himself to a passionate funeral eulogy of his wife.
He goes out with Pepe with the intention of preparing a magnificent funeral for her. The women, who are very pious but also gossips, intone the De profundis, dress the dead woman with her best clothes, comb her hair, and make her beautiful.
Pepe comes back in. He is incredulous. “Simeone wants a splendid funeral.
He has called the band and chorus. There will be banners. He will spend a fortune”. Here is the smith, more drunk and more eloquent than ever with a funeral wreath around his neck. He looks rapturously at his wife. She has never been more beautiful. He begins to be overtaken by a macabre sensual passion. Even the children want to be part of the mourning.
The oldest of the three gives a scarlet paper rose to his father, who puts it in Floriana’s praying hands as if it were a rosary. Then he opens the arms of his wife. He wants to embrace her. But he trips, staggers, and causes a candle to fall. The flame begins to burn the sheet, and gains force from the straw mattress, the funeral wreath and the paper rose, which bursts into flame and crackles.
“When you go to Heaven, the saints will wait in line to dance with you.
You have the flesh of a Diana, my Florentine Madonna”, raves the husband.
No one is able to stop such passion and put an end to the sacrilege.
The flames grow higher and envelop the whole house, while at the height of his agitation, Simeone throws himself into an infernal embrace. His voice emerges from the fire, “My angel, I ask for your love”.

PART II - Blood Pact
Moonlight, a country inn. A girl, a bit of a witch, a bit baby, free and unattainable, sings in the night. She is only sure of one thing: she will never sell her body for money; she will give it only for love. She has therefore not accepted a splendid necklace that her aunt showed her. Her aunt, called the
Wolf, is a practical woman who, however, likes to drink. She got the necklace from an old man who would like to become the girl’s lover. The aunt insists, “Even your mother would accept it”. “And what is my mother doing to me”, the girl answers in anger, “Is she putting a lover in my bed? I don’t want old men”. And then, threatening, she brandishes a pair of scissors.
The shadow of a young knife-grinder can be seen under the stars. He declares himself to be very good at this craft and offers to sharpen those scissors for a kiss. The girl’s charm has already bewitched him.
Inside the inn, the girl’s mother and aunt prepare dinner, drink, and speak of good and bad fate and of Trasgo, an elf who often comes to visit the aunt.
The girl and knife-grinder continue their courtship. “Go about the world, come back to me, and I will give you an answer”, says she provocatively.
“How much time do you think that I’ll need? Less than a bolt of lightening”, the youth answers. All he needs to do is “to hold onto the tail of a friend”.
The mother and aunt, now drunk, continue to fantasize about Trasgo and nocturnal, lunar flights.
Mother and daughter confront each other face to face in a tumultuous duet: “Look at the necklace: pearls and corals. Listen to your mother. You will become rich”.
But the girl cannot be convinced: “I will give myself to whom I like. To lose myself. Did you understand, mother? To lose myself”.
The knife-grinder has come back. He asks to see the girl’s legs. And he remains astonished when she tells him that in the darkness a dog bit him tearing the shoulder of his suit. “How did you know it?” “There is blood!”
The mother comes and calls her daughter in. “Come inside. Stop talking.
Come in, but don’t put on the chain. Tonight someone might come”.
A brief interlude of “deathly lechery” creates a mysterious atmosphere of expectation. The characters, like robots, move according to the destiny that is about to happen. The girl disappears, reappears, and then again fades into the shadows, exciting the knife-grinder ever more and more.
“Here a dog bit you? Uncover your shoulder. Show me the blood... I want to suck it”.
He wants to resist. He says that he is already engaged. Perhaps he has begun to fear her. But he is too attracted to her. With the scissors, she cuts her own hand, and says that she wants to drink that blood. The pact is made. Then she invites him home. “Come, enter, and undo my bed”. An erotic invitation or a deadly one?
In the darkness of the inn, the scissors shine, held high by the girl, who strikes. A shout. The thud of a body that falls to earth. A tense moment of silence. A ray of light shines on the lifeless body of a man with the scissors in his chest. Who is it? The knife-grinder or the old man who wanted to give her the necklace for her favours?
She takes up her song recalling us that she is never where we think we see her.

[Bozzetti di Graziano Gregori]

Dal melodramma all’opera, dal polittico al dittico: una chiave per Patto di sangue
Daniele Carnini

Ci sono dei soggetti che a causa del loro prestigio letterario devono essere trasposti in un’opera costi quel che costi, e altri che sembrano naturalmente portati alla resa melodrammatica.
I primi spesso necessitano (si vedano Faust e i Promessi sposi) di uno sforzo di adattamento notevole. I secondi (come Le roi s’amuse-Rigoletto) sono belli che pronti per il librettista.
La definizione “bel soggetto musicabile” (per usare le parole di Verdi) calza benissimo alle due parti del Retablo di Ramón del Valle-Inclán che compongono Patto di sangue.
Certo, contribuisce fortemente il plot: una seduttrice spagnola (una Carmen?) nel secondo dei due testi, nel primo un ubriacone esagerato e la suamoglie prima malata poi morta, in un ambiente losco ben più della chiatta del Tabarro. Ma non solo, queste pagine di Valle-Inclán devono molto al teatro d’opera, e almeno in un caso lo dichiarano esplicitamente.
“Melodrama para marionetas” è il sottotitolo della Rosa di carta, e sono molte le referenze intertestuali al mondo operistico. Una è manifesta, perché è lo stesso protagonista Simeón Julepe ad evocare la Traviata (apparentemente per avere un argomento polemico contro la moglie accusata di eccessivo patetismo, ma è ovvio che Valle-Inclán anticipa con questa citazione il fatto che la donna verrà rimpianta dopo morta). Altre sono più celate, ma abbastanza evidenti anche a una frettolosa rassegna. La ridda intorno al cadavere ha un suo precedente in Gianni Schicchi. L’incendio con cui si chiude la pièce potrebbe contenere un doppio riferimento wagneriano, al finale del Crepuscolo degli dei e all’incantesimo del fuoco della Valchiria. Da non trascurare un’altra opera in cui la (tardiva) riconciliazione di una coppia porta entrambi al rogo: Norma. Neanche Patto di sangue è immune dal contagio operistico: la casa dove avverrà l’agguato, e perfino
la doppia focalizzazione tra una coppia fuori e una coppia dentro la casa stessa, sono discendenti diretti della locanda di Sparafucile in Rigoletto.
Questo però è accidente e non sostanza. Altre cose ci sembrano assai più rimarchevoli, come la concezione del tempo in Patto di sangue.
Il tempo nel teatro di parola e nel teatro in musica, come si sa, non è realistico.
C’è un cosiddetto tempo drammatico che nulla ha a che fare con il tempo degli orologi, ma che ad esso si richiama come a una pietra di paragone, un modello da avvicinare o da cui allontanarsi. Però, mentre il tempo teatrale è tendenzialmente lineare, e semmai subisce delle brusche interruzioni da cui ricomincia a scorrere, quello operistico è spesso un’onda in cui rallentamenti e accelerazioni,
e perfino la stasi, il “congelamento” apparente, si susseguono. Prendiamo dunque la pièce di Valle-Inclán. Negli andirivieni dell’arrotino, nella sua affermazione di aver già fatto “il giro del mondo”, nel riferimento a un mitico “precedente” tra i due protagonisti, nel dialogo interrotto tra le due vecchie donne, nel convulso finale in cui succedono troppe cose per essere “reali”, c’è una condensazione simbolica del tempo che è invero melodrammatica.
La lista degli elementi operistici è lunga. Ad esempio il lessico antirealistico dei personaggi del Patto, ma anche quello iperbolico di Julepe. C’è un proliferare di musica sulla scena: le canzoni della ragazza in Patto di sangue sanno di opera francese. Ancora: le didascalie, come quella di Julepe nella Rosa di carta quando torna a casa per il funerale pervaso da un “sentimentalismo tedesco”.
Le didascalie di Valle-Inclán sono l’analogo della musica extra-diegetica (o di commento) che focalizza i pensieri - supposti - dei personaggi nel film o nell’opera, o la loro funzione nel dramma, prima ancora di sentirli parlare o cantare.
E se il pubblico non le può avvertire, esse, tramite la lettura e l’interpretazione di regista e attori, entrano purtuttavia in gioco come paratesto, connotano in senso, appunto, melodrammatico, l’intera pièce. Naturalmente quello di Valle-Inclán è un teatro straniato, post-simbolista. Il grottesco, nel senso medievale e romantico, ha una sua parte determinante: è un melodramma ma anche un mélodrame, è un melodramma in quanto ci sono degli eccessi rispetto al teatro “naturalistico”, delle deviazioni alla norma; ed è un melodramma nel suo affidarsi non al potere della parola, ma al gesto e alla pantomima (come nei finali “muti” che hanno fatto pensare a Craig e Artaud).
“Auto para siluetas” è il sottotitolo di Ligazón-Patto di sangue (il sostantivo spagnolo ha un carattere stregonesco di possessione demoniaca). “Siluetas”, figure bidimensionali, senza colore: bianco - grigio, anzi, il grigio della luna sotto cui si svolge Patto di sangue - e nero.
Cappelletto e D’Amico rinforzano l’aspetto rituale, celebrativo, quasi di atto sacramentale di questi due melodrammi in potenza. Il libretto da un lato moltiplica le occasioni in cui si possa fare opera, come vedremo. E la musica, recependo tutte le suggestioni, dà loro una veste compiutamente melodrammatica. La natura operistica dell’opera è sempre stata, dal Seicento ad oggi, un po’ sospetta. Tutti noi avremo sentito qualche amico poco aduso ai teatri dire: “ma è inverosimile che cantino prima di morire” (come se Rossella che guarda Rhett allontanarsi nelle brume con una colonna sonora enfatica sia più “verosimile”!). Nel richiamarsi agli antichi Greci i primi teorici dell’opera avevano probabilmente torto dal punto di vista storico, ed erano forse solo ansiosi di trovare una giustificazione plausibile al canto sulla scena: ma oggi come allora il teatro è una cerimonia, e questa cerimonia, come quelle religiose, nasconde o allevia la vera realtà della natura umana, la sua fallibilità, la sua caducità. Ci rassicura o ci consola o ci educa attraverso la ripetizione.
Le convenzioni operistiche sono un altro tipo di cerimoniale, e il dittico di D’Amico non vi sfugge; alcune chiavi possono aiutarci a capirne il funzionamento.
Ognuna delle due parti ha un personaggio-perno, la cui attività indirizza il percorso teatrale allo scioglimento.
In Patto di sangue, è la ragazza (la “mozuela”). La sua natura stregonesca si manifesta tramite la musica. La ragazza si esprime in due modi differenti e di successo: nelle canzoni e nel linguaggio “normale”.
Con le canzoni la ragazza domina e soggioga esplicitamente l’Arrotino, come Carmen con la seguidilla.
Con il linguaggio “normale” invece la sua strategia è un’altra: adattarsi al linguaggio dell’interlocutore (lo fa con l’Arrotino stesso, con la Volpe, con la Madre) e pian piano piegarlo alla sua logica.
La sua magia nera, più che nel patto di sangue cui sottopone l’Arrotino, è nel saper adoperare il linguaggio sfuggente e allusivo della musica.
Anche il timbro strumentale concorre a questa strategia. La chitarra - strumento che si pone al di fuori della “normale” sonorità orchestrale - raffigura l’Arrotino. Lo introduce in scena e in qualche modo è l’analogo dell’attrezza-tura ambulante (essendo uno strumento “itinerante”) che l’Arrotino si porta appresso.
Ma anche la chitarra “migra”, perché è la ragazza ad appropriarsene in quello che è forse il momento più intenso dell’opera, appena prima del “patto di sangue”: la canzone “Ho visto i tuoi passi”. Le altre canzoni sono in una specie di jargon spagnolo (adoperato di tanto in tanto come effetto “di colore”), questa invece deve essere perfettamente comprensibile perché è il punto di svolta: da un innocente corteggiamento si passa a un colpevole e stregonesco adulterio (l’Arrotino è fidanzato), che culminerà in un omicidio.
Simeone, personaggio-perno della Rosa di carta, si fa “contagiare” dalla moglie in un altro modo. In questo caso, tramite il suono dell’altro strumento solo che inizia l’opera, parallelo alla chitarra del Patto: la fisarmonica. La melodia iniziale - che torna ossessivamente sugli stessi intervalli e gravita sulla tonalità di La minore - sembra la voce interiore di Floriana, in contrasto con la veemenza con cui Simeone picchia sull’incudine (altro richiamo wagneriano, Sigfrido).
Riascoltiamo lo strumento, brevemente, appena morta Floriana; e in modo molto più esteso durante il compianto di Simeone, che una volta venuto in possesso dei settemila reali raccolti dalla moglie, finalmente può pensare alla morta.
Il ritorno della fisarmonica è anche la cesura stilistica dell’opera. Il grottesco si tempera gradatamente con l’elevato, e non è un caso che Cappelletto e D’Amico lascino cadere la scena originaria di Valle-Inclán (gremita di comprimari, di rumore, di bambini, di pettegolezzi attorno al cadavere) in favore di un composto De profundis. L’opera in musica ha bisogno di ricaricare la “rivoltella” drammatica, ed ha tempi diversi dal dramma parlato, più lenti. Nel dramma parlato è presente anche un’intenzione satirica, nel senso di Giovenale, non di Orazio - il dittico potrebbe bene illustrare i due maggiori moventi delle azioni umane: la ricchezza e il sesso. L’avarizia spinge Simeone ad amare
finalmente sua moglie, e a distruggersi; il sesso spinge l’Arrotino a commettere - o a rendersi complice di - un omicidio. La scena in cui le donne sono lasciate sole da Simeone a prendersi cura del cadavere è nel dramma tipicamente grottesco- realistica: i bambini che piangono, le vicine occupate a conferire e sullo sfondo sempre i soldi. Il De profundis dell’opera, oltre a dare l’occasione per un pezzo di musica quasi in stile, proietta il dramma della casa di Julepe-Simeone su una dimensione trascendente.
Date queste premesse sembra chiaro che il fine ultimo di Cappelletto e D’Amico non è quello di impostare una drammaturgia di tipo lineare, bensì
circolare. Il dramma non procede da A a B, ma anzi mostra come la vita sia sempre prevedibile e condotta dagli uomini, dalle loro passioni, dai loro vizi, inevitabilmente, alla morte. L’espiazione di Simeone, vista in quest’ottica, non ha nulla di catartico. La ripetizione compulsiva degli stessi gesti - iterazione che è una nevrosi, iterazione che è figura della morte - e la riapparizione, voluta da Cappelletto, degli stessi oggetti tra una parte e l’altra, si traduce nella ripetizione della stessa musica. Le due parti, in effetti, hanno per gran parte gli stessi gesti strumentali, in breve, dal punto di vista della nostra percezione, la stessa musica. A volte anche letteralmente: la canzone accompagnata dalla chitarra ritornerà - o meglio, tornerà l’accompagnamento, la melodia è variata - più o meno nella stessa posizione nella Rosa di carta (“Per te, mia sposa bellissima”/“ Com’è bianca la tua pelle”). Ma gli esempi potrebbero moltiplicarsi.
Resta da dire come suoni questa partitura doppia, questo doppio percorso attraverso i vizi e le virtù - molto più i secondi delle prime. La risposta è che, date le premesse, la partitura deve in qualche modo suonare tradizionale. È un’opera che accetta tutte le convenzioni dell’opera, programmaticamente. Abbiamo il semitono discendente come figurazione del dolore; la “musica sulla scena”; il solo del personaggio che in alcuni casi potrebbe a buon titolo essere definito “aria”; le fioriture su parole come “vento” o “alma de luna”. Ci sono - e sono anzi appositamente create le occasioni per inserirli - i pezzi d’assieme “statici”, o “contemplativi”, in cui il tempo si arresta quasi del tutto. La tonalità è sempre evocata e qualche volta dichiarata; sarebbe però difficile dire che questa è musica tonale. Sicuramente si può dire che la tonalità lascia un alone, una scia, che la musica e le note che ascoltiamo riverberano, lentamente saturando lo spazio sonoro nei momenti di maggior intensità. Non è il rapporto verticale tra i suoni che ci spiega come funzioni questa musica, che anzi in gran parte dell’ordito è orizzontale, contrappuntistica, in questo favorita dall’orchestrazione cameristica. Più interessante dire come gli intervalli caratterizzino i rapporti
tra i personaggi (per esempio all’inizio la Volpe si esprime in semitoni e quarte, la Ragazza in terze), come il ritmo sia adoperato come un motivo conduttore, come ci siano motivi conduttori, in effetti, ma riconducibili più a situazioni ricorrenti che non a un personaggio o al suo carattere. Tutte cose appunto tipiche di una drammaturgia operistica, ma che erano inscritte, in un certo senso, nel dramma parlato.
Una fondamentale differenza tuttavia tra le due concezioni e dunque tra dramma parlato e dramma in (con) musica, rimane. Al termine del percorso in Valle-Inclán c’è la pantomima, la rinuncia al dialogo, il sonno della ragione.
Al termine di un’opera, inevitabilmente, a dare una forma all’esperienza teatrale e umana, rimane la musica.


PATTO DI SANGUE – Rassegna stampa - Press Releases

“… Patto di sangue è un magnifico tassello di vero teatro. Ha tutte le qualità del teatro quotidiano: il passo del racconto, l’evocazione di mondi inquieti, al di là della trama semplice, e una scrittura musicale raffinata ma sobria, di diretta lettura. E gli spettatori alla prima, un po’ di tutti tipi, alla fine applaudono festosi, in sintonia…. D’Amico sceglie due drammi di Valle-Inclàn, due pannelli che stanno vicini a illustrarsi a vicenda, come nei retablos: una storia allunga la mano grifagna sull’altra. Un dettaglio, un colore, un gesto. Entrambe sanno di amaro. Donne del sud oppresse e violente, uomini un po’ fantocci, bruti, destinati a soccombere…. Il trucco della regia di Daniele Abbado, che racconta con toccante realismo, con la rosa che brucia, in alto, e contemporaneamente si trasforma in una fila di rose, in proscenio - un po’ giardino, un po’ Brunilde – è uno di quei momenti di teatro che con un gesto dicono tutto…. Ottima esecuzione, con la direzione di Marcello Panni e tutta la compagnia… I momenti arcaici sono in spagnolo, ma tutto canta così bene che non serve la testa in su ai sopratitoli.”

“…Patto di Sangue is a true theatrical jewel. As with normal theatre, the story unfolds at a certain pace. There is an evocation of disquieting worlds that goes beyond simple plot, the musical accompaniment is refined, sober and to the point. The members of the audience applaud from start to finish in complete accord with the work… D’Amico has chosen two dramas by Valle-Inclàn, two settings that compliment each other as in the retablos where one hand reaches out and holds the other up… a detail, a color, a gesture, all with a slightly bitter taste. Women from the South, oppressed and violent; men, puppet-like and brutish, destined to yield to temptation… The able direction of Daniele Abbado tells the story with touching realism. The rose that burns above transforms itself into a row of roses down on the stage, a little like a garden, a little like ‘Brunhild’: it’s one of those moments in theatre where one gesture says it all. The work is well performed with Marcello Panni leading the company and the large instrumental group… The ancient texts are in Spanish but all fit so well that the titles above the proscenium are not really necessary.”

Carla Moreni, Il Sole 24 ore


“..La materia drammatica di Patto di sangue, commedia nera in due parti di Matteo D’Amico che ha debuttato con successo al Maggio Fiorentino, è scabrosa assai. La messinscena di Daniele Abbado non l’ha sfruttata in termini banalmente scandalistici ma anzi l’ha ‘celebrata’ con una regia severa e rigorosa che marcasse piuttosto, attraverso la recitazione dei cantanti-attori, le sostanziali differenze di tono dei drammi, l’uno talmente veristico da toccare le corde del surreale, grottesco e visionario l’altro…. Il Maggio Musicale Fiorentino ha tagliato diversi spettacoli dalla corrente edizione del festival. Bello che abbia salvato questa novità: un atto di fiducia verso la musica d’oggi che il compositore romano ha ripagato con una partitura quantomai avvertita e persino troppo compatta, declamata ma non priva di melodia, orecchiabile ma non tonale, con una vocalità assai moderna che sarebbe stata valorizzata ancor più se si fosse scelto di non tradurre il testo spagnolo…. Alto gradimento da parte del pubblico del teatro Goldoni.”

“The dramatic material making up Patto di Sangue, a dark comedy in two parts by Matteo d’Amico, which debuted successfully at the Maggio Fiorentino is like a scab on an open wound. The mis en scene by Daniele Abbado does not take advantage of the ‘scandalous’ aspects of the work but instead ‘celebrates’ it with a sober and rigorous direction that makes use of singer actors to underline the differences between the two dramas, one of which is so realistic that it borders on the surreal, the other, grotesque and visionary… The Maggio Musicale Fiorentino has cut some works from this year’s offerings… I’m glad they decided to include this work: it is an act of faith in today’s music that the Roman composer has shown himself to be worthy of. His score is very clever, and at times is almost too solid. It is in the background but melodic, pleasant but not tonal with a vocal quality so modern that it would have been better served without the translation from the original Spanish text… The spectators at the Teatro Goldoni enjoyed it immensely.”

Enrico Girardi, Corriere della Sera

[Bozzetti di Graziano Gregori]

“Alle radici del cinema di Buñuel e di Almodovar, si può trovare il teatro di Ramòn del Valle-Inclàn. E la pittura di Goya e il romanzo picaresco di Calderòn. Matteo D’Amico, affascinato dall’umor nero di simile fantasia, compone un dittico cupo e divertente: Patto di sangue. Lo spettacolo, bellissimo, di Daniele Abbado, esalta questo lato nero, un’umanità che convive con il male, sprofonda nel piacere distruttivo del sesso e della morte. Marcello Panni tiene insieme con efficacia l’orchestra del Maggio e i numerosi bravissimi interpreti. Successo trionfale.”

“The roots of the Cinema of Bruñuel and Almodovar can be found in the teatrical works of Ramòn del Valle-Inclàn and embody the paintings of Goya and the picaresque writings of Calderòn. Matteo D’Amico is fascinated by black humor and fantasy. He has composed a work both dark and entertaining: Patto di Sangue. The direction, by Daniele Abbado, exalts the work’s dark side, of humanity co-existing with evil while exploring the destructive aspects of sex and death itself. Marcello Panni holds well together the orchestra of the Maggio and the other numerous wonderful singers. A triumph.”

Dino Villatico, La Repubblica


“…Una materia nera e grottesca, che però soprattutto nella seconda parte, appunto Patto di sangue, viene tratteggiata, ombreggiata e illuminata con le sue tonalità goyesche dalla musica, dalle parole , dalla messinscena firmata da Daniele Abbado. Qui il consueto, grande decoro compositivo di D’Amico si accende di guizzi fantastici e di ricchi intrecci d’invenzioni, mantenute pur sempre nitide dal piccolo organico orchestrale prescelto, condotto da Marcello Panni: in scena, giochi di specchi e di doppi, apparizioni inquietanti, il simbolo onnipresente delle forbici che la ragazza aveva fatto affilare dal suo innamorato arrotino.”

“…Subject matter both dark and grotesque evoke, especially in the second part, in Patto di Sangue. a sort of illuminated Goyesque tonality. It emanates from the music, the texts and the staging by Daniele Abbado. The usual, great elegance by D’Amico’s musical writing seems to dart fantastically through rich invention, it’s clarity due also to the small well-chosen orchestra conducted by Marcello Panni. On stage, tricks with mirrors and disturbing double apparitions of the omnipresent symbol of the scissors, that the girl has had sharpened by her knife-sharpener lover.”

Elisabetta Torselli, L’Unità